Viviamo in una società in cui il fallimento e l’errore vengono vissuti come stigmi, tanto nelle nostre intime convinzioni, quanto a livello sociale.
Quante volte ci è capitato di compiere piccoli-grandi sbagli, ritrovandoci intrappolati in sensazioni di vergogna e di colpa perduranti nel tempo?
Eppure sembra ci siamo dimenticati che “sbagliare non è sbagliato”, fa semplicemente parte del gioco.
Immaginiamo di guardare un bambino mentre muove i suoi primi passi. E lì mentre compie vittorioso quei due, tre passetti incerti e poi…bum! casca in terra. Magari anche ridendo.
A qualcuno verrebbe mai in mente di pensare che quel bambino non imparerà mai a camminare? Certo che no.
I bambini cadono e si rialzano. E’ così che funziona.
E allora perché quegli stessi bambini, una volta diventati adulti, smettono di rialzarsi?
Eppure va così. Man mano che si diventa grandi ci si convince che l’errore sia un fallimento, e che il fallimento sia un marchio indelebile, il simbolo della nostra incapacità nel fare qualcosa.
Ritorniamo per un attimo adolescenti. Frequentiamo il liceo, sono le 17:00 e stiamo facendo i noiosissimi, interminabili compiti di matematica.
Ipotizziamo di essere uno degli alunni strenuamente convinti di non essere per niente portati nella materia (e sappiamo che non sono in pochi a quell’età a pensarla in questo modo).
Ecco la narrazione di un pomeriggio-qualunque:
- copio la traccia dell’equazione sul quaderno, ma, poiché voglio davvero mettermi alla prova, mi premuro di non spiare in anticipo il risultato
- mentre inizio a svolgere i tanto temuti calcoli, mi accorgo che qualcosa inizia ad andare storto
- finisco (a fatica!) l’equazione
- con molta, moltissima apprensione controllo se quanto ottenuto corrisponda esattamente a quanto dice il libro
- l’amara sorpresa è che no, il risultato è totalmente diverso
- delusione, rabbia e un inguaribile senso di sconforto
Questo era il punto in cui noi, avendo confermato per l’ennesima volta l’intima convinzione di non essere per niente bravi in matematica, solitamente avremmo chiuso il libro e rinunciato per sempre a riprovare.
E se invece fossimo stati il primo della classe? Probabilmente di fronte allo stesso, difficilissimo esercizio non ci saremmo lasciati scoraggiare.
Avremmo provato e riprovato finché il risultato non sarebbe venuto fuori, confermando in toto il nostro sentirci infallibili in algebra.
Anzi, in questo secondo caso, l’aver affrontato delle difficoltà avrebbe aggiunto anche maggior soddisfazione alla nostra vittoria finale.
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La verità è che commettere un errore, cadere, essere delusi sono l’unica chiave per imparare e correggere il tiro.
Sono questi gli unici strumenti che la vita ha per impartirci delle lezioni…altrimenti dovremmo avere dei Fantagenitori sempre alle calcagna per spiegarci la lezioncina!!!
Nella quarta di copertina del libro di Charles Pépin intitolato “Il magico potere del fallimento” è riportata una frase emblematica di Nelson Mandela:
“Io non perdo mai. Certe volte vinco, altre volte imparo”.
Ecco è proprio questa la vittoria: sbagliare ed imparare dall’errore.
Perché essere infallibili è una chimera, ma commettere errori sempre nuovi è la massima espressione di crescita che una persona possa vivere.