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Quando dici “no” a qualcosa stai rinunciando solo a quell’opzione.
Quando dici “sì” a qualcosa stai dicendo “no” a tutto il resto.

Luigi Nigro (aka @gigienne)

“Non troverò mai più un’offerta simile”, “Se rinuncio penseranno che sono solo unə scansafatiche”, “Non posso essere così ingratə, c’è gente che un lavoro nemmeno ce l’ha”.

Questo soltanto per citare alcuni dei pensieri che potrebbero sopraggiungere quando decliniamo un’offerta di lavoro.

La verità è che nel dire di no ci sentiamo sbagliatə e ingratə, quasi degli sbruffonə incapaci di cogliere le opportunità della vita.

In quel momento è il nostro inconscio che prende il sopravvento, facendoci perdere di vista tutte le ragioni dietro quel semplice “no”.

Se ci soffermassimo un attimo a pensare al motivo più profondo del nostro rifiuto, ci accorgeremmo che non siamo poi così sbagliatə.

I condizionamenti della società

I tempi moderni ci hanno ormai assuefatto alla logica del “multitasking”.

Agende fitte di impegni, uomini e donne indaffarati, sempre pronti a correre dietro al prossimo compito da svolgere.

Sembra quasi che l’uomo e la donna contemporanei vogliano “riempire il tempo” per non percepire il vuoto esistenziale che altrimenti li assorderebbe.

Si corre, ma non si sa bene dietro a cosa. Si aggiungono sempre nuovi obiettivi alla propria to-do-list per dimostrare di valere qualcosa. Il sospetto è che tutto ciò sia rivolto più agli altri che a noi stessi.

E’ come se noi, avendo perso la bussola di chi siamo veramente e credendo di valere meno quando abbiamo meno cosa da fare, ci sentissimo quasi in obbligati a dire sempre di sì.

Eppure, per le nuove generazioni qualcosa sembra stia cambiando.

Se prima lo status sociale era rappresentato dalle 20 ore di lavoro giornaliere, oggi il paradigma sembra essersi ribaltato.

Il tempo libero è diventata la nuova misura del successo.

Ma la chiave è una sola: sentirsi degni di avere possibilità di scelta.

Riflettiamo: se io non mi sento all’altezza di qualcosa – ad esempio, di non avere alcuna capacità competitiva nel mondo del lavoro – sarò automaticamente portato ad accettare qualsiasi cosa pur di dimostrare al mondo (e a me stesso) che in realtà quella cosa la so fare.

Se invece mi reputo capace, mi sentirò in diritto di accettare ciò che mi soddisfa, declinando il surplus.

E’ tutto una questione di pancia, di emozioni, insomma. DI come percepiamo noi stessə e il mondo intorno a noi. Tutto qui.

Ma guardiamo la faccenda da un’altra prospettiva.

Quando si è presi da mille impegni, spesso capita di non riuscire a portarne a termine nessuno in maniera soddisfacente.

A questo proposito l’imperatore romano Marco Aurelio, soprannominato l’imperatore-filosofo, ci invita a riflettere:

“Non sarebbe meglio dedicarsi a pochi progetti in modo impeccabile, invece di disperdere le proprie energie cercando di portarne avanti il più possibile?
Questo ti farebbe stare più tranquillo per il fatto che hai poche cose da fare, ma, allo stesso tempo, ti renderebbe più appagato per la qualità del tuo lavoro.”

Insomma, parrebbe proprio che la strada per la vera soddisfazione personale viaggi sui binari dell’essenzialismo.

Togliere, anziché aggiungere. Fare una sola cosa, ma farla bene e sentirsi soddisfatti, anziché farne cento e non sentirsi mai appagati.

Per concludere, la prossima volta in cui capiterà “un’occasione”, parliamo dolcemente con noi stessi, chiedendoci semplicemente:

  • se ci interessa davvero
  • se siamo portati a dire sì soltanto per compiacere qualcuno
  • se stiamo rinunciando ad altro (…e spesso si tratta del preziosissimo tempo libero)
  • dove ci porterà questa scelta tra 6 mesi o un anno?

Impariamo, quindi, a dire anche dei sani “no”. Il nostro benessere ci ringrazierà, e anche le persone impareranno ad apprezzarci di più.

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